Luca Davini
Avvocato in Milano e Torino
Secondo il parere preliminare della Commissione europea, Amazon avrebbe violato le norme antitrust dell’Unione europea, distorcendo così la concorrenza nei mercati al dettaglio online. Di conseguenza, oltre ad una prima comunicazione degli addebiti, la Commissione ha avviato una nuova indagine approfondita sulle pratiche utilizzate dal colosso.
Due le principali violazioni contestate:
– l’utilizzo di dati non pubblici sui venditori, accessibili ai dipendenti delle attività al dettaglio di Amazon. Tali dati confluiscono direttamente nei sistemi automatizzati di Amazon, che li userebbe per gestire le offerte e le decisioni commerciali a scapito degli altri venditori.
Tale atteggiamento consentirebbe dunque al colosso di evitare i normali rischi della concorrenza e di abusare della sua posizione dominante sul mercato Ue (soprattutto Germania e Francia, principali mercati Amazon nell’Ue);
– l’utilizzo di pratiche anticompetitive che non solo favorirebbero le offerte al dettaglio di Amazon e le offerte dei venditori che utilizzano i servizi logistici e di consegna collegati ad Amazon, ma permetterebbero inoltre di pregiudicare il commercio tra Stati falsando la concorrenza.
A titolo esemplificativo, una delle pratiche sleali più conosciuta e utilizzata da Amazon – secondo il parere della Commissione Ue – sarebbe la “predatory pricing”, ossia la strategia (illecita) mediante la quale viene disposto un iniziale abbassamento dei prezzi di beni e servizi forniti dall’azienda, in modo tale da renderli altamente competitivi. Quando la concorrenza è limitata o nulla, i prezzi vengono poi rialzati (secondo uno schema che rimanda al fenomeno del monopolio).
Se le accuse formulate venissero confermate al termine dell’indagine, vi sarebbe la violazione degli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, i quali proibiscono l’abuso di posizione dominante e vietano tutte le pratiche scorrette volte a falsare la concorrenza.
Di conseguenza, Amazon rischierebbe una multa che potrebbe arrivare fino al 10% del fatturato complessivo (stimato in quasi 348 miliardi di dollari nel 2020).
Nell’attesa di vedere come la Commissione gestirà l’indagine sul colosso, va ribadito come tale scenario di evoluzione digitale nuovo e soggetto a rapidi cambiamenti richieda un intervento legislativo definito, volto a chiarire la disciplina applicabile e a colmare le lacune.
Passi in avanti in questo senso sono stati fatti grazie all’entrata in vigore del Regolamento Ue 2019/1150 – c.d. Platform to Business (P2B) – il quale disciplina i rapporti tra piattaforme online e utenti commerciali, pur riservando agli Stati l’effettiva applicazione interna del Regolamento. Resta dunque da vedere come i singoli Stati membri definiranno la propria linea d’azione in materia.
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