Luca Davini
Avvocato in Milano e Torino
In base a quanto stabilito dall’art. 125 comma 1 del codice della proprietà intellettuale (D.lgs. 30/2005), in caso di contraffazione di un brevetto, il risarcimento del danno patito dal danneggiato viene liquidato prendendo in considerazione diversi aspetti “[…] quali le conseguenze economiche negative – compreso il mancato guadagno – del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione”.
In alternativa, qualora non sia possibile calcolare l’esatto ammontare, il comma 2 dell’art. 125 permette di quantificare il lucro cessante in un importo forfettario “non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso”.
In altre parole, secondo la normativa sui brevetti, il danno può essere liquidato in due modi:
1- in base ad un calcolo preciso che tiene conto degli utili realizzati in violazione del diritto, ossia considerando il margine di profitto conseguito e deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale; oppure
2- qualora tale calcolo non sia possibile, secondo una valutazione equitativa forfettaria, comunque non inferiore all’importo dei diritti dovuti qualora il contraffattore avesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del brevetto (c.d. criterio della “giusta royalty” o della “royalty virtuale”).
Tuttavia, tale criterio equitativo “virtuale” – volto a fissare un limite minimo per la quantificazione del risarcimento – non può trovare applicazione nel caso in cui il danneggiato indichi ulteriori e diversi criteri equitativi in base ai quali liquidare il danno, rilevando quindi solo in via residuale.
Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 5666 del 2 marzo 2021, la quale garantisce in questo modo una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale.
In tal senso, la Suprema Corte ha stabilito che, nel caso in cui il titolare del brevetto fornisca un criterio alternativo di risarcimento (come può essere il conteggio preciso di un lucro cessante reale), il criterio della “royalty virtuale” rappresenta una misura minima e unicamente residuale, trovando viceversa applicazione il criterio alternativo.
A titolo di esempio, il conteggio di un lucro cessante reale potrebbe consistere nella somma che il titolare del brevetto avrebbe ricavato se avesse venduto i prodotti contraffatti al medesimo prezzo a cui li aveva commercializzati il contraffattore, attraverso l’applicazione del margine di utile lordo sui prodotti realizzati.
In altre parole, qualora la parte lesa offra un ragionevole criterio alternativo di liquidazione del danno e tale criterio si riveli essere più corretto per la determinazione del risarcimento dovuto, deve trovare applicazione detto criterio alternativo e non quello della “royalty virtuale”.
In questo modo, secondo la Corte, la liquidazione del danno così determinata garantirà un’effettiva riparazione del pregiudizio subito, poiché vengono presi in considerazione diversi aspetti, tra cui il mancato guadagno subito dalla parte lesa e i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione.
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