La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta in materia di “business judgement rule” e responsabilità degli amministratori societari, chiarendo entro quali limiti gli amministratori siano esentati dalla responsabilità per i rischi d’impresa (ordinanza n. 28718 del 16 dicembre 2020).
Il caso riguarda una società (Alfa), la quale ha citato in giudizio l’amministratore delegato (Tizio) per aver favorito una seconda società (Beta), operante nello stesso settore di Alfa e di proprietà di Caio, fratello di Tizio.
In tal senso, Alfa richiedeva una condanna di Tizio al risarcimento dei danni per aver stipulato con Beta un contratto di agenzia fittizio, aver finanziato Beta per aprire una filiale di Alfa e aver compiuto una serie di operazioni su beni sociali ad esclusivo vantaggio proprio e del familiare Caio.
In primo grado, il Tribunale di Monza accoglieva la domanda di Alfa, condannando Tizio al risarcimento del danno.
Tuttavia, in appello, la Corte d’appello di Milano modificava l’importo del risarcimento, riconoscendo in parte i motivi di Tizio e ritenendo che rientrasse tra i poteri di Tizio l’apertura di una filiale di Alfa anche senza l’autorizzazione del Consiglio di Amministrazione e che non vi fossero sufficienti prove a dimostrazione delle violazioni lamentate da Alfa.
Giunta la questione in Cassazione, la Corte ha innanzitutto chiarito che la disciplina della responsabilità degli amministratori nei confronti della società prevede che quest’ultima abbia il solo onere di dimostrare le violazioni lamentate ed il nesso causale tra le presunte violazioni dell’amministratore e il pregiudizio arrecato alla società.
In questo modo, la Suprema Corte ha sottolineato come incombe sull’amministratore l’onere di dimostrare la mancata imputabilità del fatto a sé, fornendo viceversa la prova positiva del rispetto dei propri obblighi e doveri.
Oltre a ciò, la Corte ribadisce il principio della business judgement rule, in base al quale gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili per tutti i rischi a cui l’impresa normalmente è sottoposta, con la conseguenza che le scelte gestionali prese dagli amministratori risultano essere insindacabili.
Tuttavia, la Corte chiarisce come tale principio subisca un limite nella misura in cui le scelte prese dall’amministratore, se valutate ex ante, risultano essere manifestamente avventate ed imprudenti.
Nel caso di specie, i Giudici di legittimità ritengono che le conclusioni della Corte d’appello di Milano non siano condivisibili poiché le azioni di Tizio si pongono in consapevole contrasto con gli obblighi e i doveri statutari, in quanto – ex art. 2391 c.c. – l’amministratore ha l’obbligo di dare notizia “di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale”.
In tal senso, l’operazione di apertura della filiale di Alfa finanziando Beta non corrisponde ad alcun interesse sociale e risulta inoltre in conflitto di interessi – essendovi un rapporto di parentela tra Tizio e Caio – con la conseguenza che Tizio avrebbe dovuto sottoporre l’operazione alla valutazione del Consiglio di amministrazione.
In questo modo, accogliendo il ricorso di Alfa, la Corte di Cassazione chiarisce come – fermo restando il principio dell’insindacabilità delle scelte di gestione degli amministratori – tale principio non è assoluto, e anzi trova un limite nella misura in cui tali scelte di gestione siano illegittime o imprudenti, implicando la responsabilità dell’amministratore per le operazioni avventate.
Luca Davini
Avvocato in Milano e Torino
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