Un distributore americano, la Pacific Medical Products LLC (in seguito “Pacific”), fornitrice di aziende mediche e sanitarie dello Stato di Washington, ha di recente citato in giudizio davanti al tribunale della California due società importatrici americane, entrambe con governance cinese, di mascherine di protezione da coronavirus prodotte in Cina per un valore di 210.000,00$.
Il motivo dell’azione giudiziaria risiede nel fatto che le mascherine importate dalla Cina si sono rivelate difettose e non in grado di assolvere la funzione protettiva prescritta dai protocolli governativi contro il famigerato virus con la conseguenza che non venivano acquistate dai clienti della Pacific con relativi danni a suo carico (minimo costi di fornitura e mancato guadagno).
Nell’atto giudiziario si evince che la Pacific veniva ingannata al momento dell’acquisto di 90.000,00 mascherine in quanto gli importatori assicuravano, tramite idonea documentazione allegata al contratto di import/distribution, il rispetto degli standards stabiliti dalla Food and Drug Administration (ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, dipendente dal Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America) (in seguito “FDA”).
Solo in seguito, al momento della fornitura delle mascherine ad un ospedale cliente, emergevano i difetti delle mascherine che non corrispondevano a quelle promesse.
Il cliente, infatti, respingeva 20.000 mascherine fornite perché difettose e non corrispondenti a quelle oggetto di acquisto: il prodotto promesso avrebbe dovuto avere una clip per naso in metallo cucita mentre il prodotto ricevuto aveva una clip per naso incollata facilmente rimovibile.
A ciò si aggiunga che dai test eseguiti dai Centers for Disease Control and Prevention le mascherine in questione risultavano avere una capacità filtrante del 47%, insufficiente per i protocolli prescritti dalla FDA, la quale ha di conseguenza inserito il produttore delle mascherine acquistate dalla Pacific in una black list di 65 produttori cinesi a cui è stato vietato l’export di mascherine.
In sostanza secondo la Pacific le società importatrici, nonostante la consapevolezza che le mascherine sarebbero state utilizzate in campo medico a tutela della salute dei cittadini, al fine di poter far entrare i loro prodotti nel mercato Usa:
i) hanno contraffatto i documenti di certificazione assicurando alla Pacific che i produttori soddisfacevano gli standards FDA
ii) hanno falsificato l’origine dei prodotti;
iii) hanno venduto un prodotto diverso da quello promesso nel contratto.
Sulla base di tali argomenti la Pacific ha promosso causa davanti al tribunale californiano chiedendo il risarcimento dei danni subiti derivanti da inadempimento contrattuale, pratiche commerciali scorrette e frode delle società importatrici.
In risposta le società importatrici si rendevano disponibili a definire la questione in via amichevole riacquistando le maschere difettose ad un prezzo scontato; ma poi hanno cambiato idea e deciso di contestare le argomentazioni della Pacific sostenendo che non avesse prove per dimostrare le accuse e che il giudizio della FDA (sulla capacità di filtrazione) era errato precisando che il produttore cinese non avrebbe accettato alcun reso.
La controversia sarà pertanto oggetto di giudizio davanti ai giudici californiani. Non è per la verità la prima.
Da aprile in avanti infatti diversi produttori cinesi sono stati chiamati davanti ai tribunali dei vari Stati americani per la vendita di maschere difettose, di marca errata e supportati da falsi documenti di certificazione FDA, con domande giudiziali provenienti non solo da società che operano come rivenditori ma anche da agenzie governative come la Federal Trade Commission e dai procuratori generali i quali hanno presentato varie richieste di risarcimento danni anche contro i rivenditori online.
Alla luce del caso sopra esaminato è opportuno per l’imprenditore italiano che intenda sfruttare le opportunità di business nel mercato della rivendita dei dispositivi di protezione da covid-19 adottare adeguate strategie legali: ad esempio, durante la negoziazione di un contratto di distribuzione/importazione con una controparte cinese, l’importatore/rivenditore dovrebbe prestare molta attenzione sia nel delineare parametri di conformità allegando puntuali schede tecniche, sia predisporre una specifica clausola sulla garanzia (da intendersi come l’assicurazione che conferisce il venditore al compratore sulla conformità del prodotto alla scheda tecnica specificando i rimedi in caso di difetto del prodotto/mancanza di conformità: riparazione/sostituzione prodotto, nota credito in luogo del risarcimento, altro).
Dal punto di vista della scelta del metodo di risoluzione delle controversie l’imprenditore potrebbe valutare il ricorso ad un arbitrato internazionale (la Cina ha ratificato la Convenzione di New York del 1958) in alternativa alla giurisdizione locale attraverso l’introduzione nel contratto di una clausola arbitrale ad hoc.
Marcello Mantelli
Avvocato in Milano e Torino
Massimiliano Gardellin
Avvocato in Torino
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