In un precedente articolo pubblicato sul nostro blog abbiamo affrontato il caso del mancato pagamento di fatture già emesse (e scadute) alla data di dichiarazione dell’emergenza sanitaria, ipotesi che, una volta compiute le necessarie valutazioni circa la preminenza della necessità di salvaguardare il rapporto commerciale, ed esperiti i conseguenti tentativi di risolvere in via bonaria la vicenda, legittimerebbero i creditori ad intraprendere procedure giudiziali finalizzate al recupero del proprio credito commerciale.
Maggiori incertezze emergerebbero, a parere di chi scrive, con riferimento alle ipotesi in cui i debitori dovessero anticipare l’intenzione di sospendere oppure di non voler definitivamente pagare fatture ancora da emettere o, se già emesse, non ancora scadute.
Infatti, il debitore, alla luce della situazione conseguente alle misure restrittive adottate dal Governo, potrebbe invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta (hardship, nella contrattualistica internazionale) con riferimento non alla prestazione di pagamento in denaro in senso stretto, ma ad esempio alle scadenze pattuite in origine, all’interno del contratto o della conferma d’ordine.
Se questa ipotesi potrebbe non interessare le imprese la cui attività non è stata di fatto mai limitata dai provvedimenti governativi, le imprese la cui attività è stata invece oggetto di limitazioni all’apertura o di chiusura forzata (cfr. art. 1 del DPCM 11/3/2020) potrebbero ben lamentare uno squilibrio economico tale da configurare ipotesi di eccessiva onerosità, alla luce del mutato contesto economico dovuto a cause straordinarie ed imprevedibili.
Infatti, da un punto di vista oggettivo, l’impatto sul mercato causato dall’emergenza Covid-19 (e dalle conseguenti misure adottate) ha reso non più realistiche le previsioni a suo tempo effettuate sui flussi di tesoreria e finanza, di cassa, degli incassi, non più praticabili i prezzi e i termini di pagamento in uso nella prassi commerciale tra le parti.
In sostanza, il rapporto tra prestazione del creditore e controprestazione del debitore è divenuto squilibrato, alla luce delle considerazioni che precedono, in misura ben superiore alla normale alea del contratto, a causa dell’emergenza coronavirus e dei conseguenti provvedimenti dell’Autorità, e comunque in una misura tale da giustificare la risoluzione contrattuale oppure la richiesta (pretesa) di rinegoziare i patti contrattuali.
In via generale, pertanto, occorrerà gestire in un’ottica negoziale eventuali richieste di sospensione dei pagamenti o di rimodulazione dei termini di pagamento, giustificate con riferimento all’emergenza coronavirus e/o ai conseguenti provvedimenti governativi, tenuto conto che il debitore potrebbe invocare:
– l’impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione di pagamento, domandando di pagare solo quando l’impossibilità sarà cessata, senza applicazione di interessi moratori, penali o richieste risarcitorie (anche alla luce dell’introduzione dell’art. 91, DL 17 marzo 2020, n. 81);
– l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione di pagamento e quindi domandare la risoluzione del contratto o la sua rinegoziazione allo scopo di riequilibrare le prestazioni.
In conclusione, in assenza di specifici provvedimenti normativi ad hoc (di remota previsione) che dispongano proroghe o sospensioni dei termini di pagamento, il consiglio per i creditori, da un punto di vista legale è quello di avviare con i debitori che manifestino la volontà di sospendere e/o dilazionare i pagamenti, una attività di negoziazione stragiudiziale, con lo scopo di risolvere amichevolmente la controversia.
Quanto sopra con lo scopo di non esporsi al rischio di rinunciare al proprio credito per un periodo non determinabile con certezza ovvero alla richiesta di risoluzione del contratto, con conseguente estinzione del diritto di credito (oppure all’obbligo di rinegoziarne le clausole con lo scopo di ricondurlo ad equità) e, in ultimo, di dover affrontare liti giudiziali dall’esito e dalle tempistiche non prevedibili.
In aggiunta, con specifico riferimento alla contrattualistica internazionale, non può omettersi di fare riferimento in situazioni come quella che stiamo vivendo, ad un concetto di estrema rilevanza quale la buona fede nell’esecuzione del contratto, che obbliga le parti e rinegoziarne il contenuto laddove le prestazioni originariamente concordate siano divenute eccessivamente squilibrate oppure le clausole siano divenute inique, a causa di eventi straordinari e imprevedibili.
Luca Davini
Avvocato in Milano e Torino
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