In linea generale, il patrimonio ereditario spettante agli eredi è costituito dai beni di proprietà del defunto (anche “de cuius”) al tempo del decesso sommati a quelli donati dallo stesso -agli stessi eredi o a terzi- quando egli era in vita (la cd. “massa ereditaria”), dedotti i suoi eventuali debiti.
Una volta individuato l’intero patrimonio del defunto esso andrà diviso tra gli eredi individuati ex lege o testamento nelle quote stabilite dalla legge o dal testamento.
In assenza di eredi cd. legittimari (coniuge, figli ed in assenza di essi gli ascendenti), ossia coloro che non possono in alcun modo esser privati di una quota di patrimonio stabilita dalla legge cd. di “riserva” , il de cuius è completamente libero di devolvere il proprio patrimonio a chiunque (parenti, amici, fondazioni, ecc.) e soprattutto nelle quote che preferisce (nulla gli vieta di devolvere per esempio l’80% del suo patrimonio ad una fondazione benefica, il 10% ad un fratello ed il 10% ad amici, ecc.).
In presenza di eredi legittimari invece il de cuius è limitato nella disposizione del proprio patrimonio: potrà infatti trasferire a terzi (da intendersi qualsiasi non legittimario) attraverso donazioni o testamento solamente una quota limitata ex lege del suo patrimonio.
Esempio: Caio, vedovo, lascia due figli, Sempronio e Mevia.
La quota liberamente disponibile di Caio è di 1/3 del patrimonio complessivo mentre 2/3 spetteranno ai due figli in parti uguali (1/3 ciascuno).
Significa che egli potrà liberamente trasferire 1/3 del suo patrimonio a un terzo (come detto ad esempio una fondazione, un parente diverso dai figli, o avvantaggiare per un ulteriore 1/3 uno dei due figli); mentre gli altri 2/3 del patrimonio spettano ai due figli.
Conseguentemente, nel caso in cui il defunto abbia effettuato donazioni in vita (immobili, co-intestazione di conti correnti, partecipazioni sociali o finanziarie), al momento del suo decesso occorrerà calcolare l’intero valore patrimoniale -anche attraverso perizie immobiliari se del caso- e successivamente verificare se le donazioni abbiano leso le quote di legittima spettante ai legittimari.
Riprendendo l’esempio di cui sopra, se Caio nella sua pianificazione successoria, anche effettuata in buona fede, ha donato la casa al mare a Sempronio (di valore € 650.000,00) e intestato a Mevia la casa di città in cui viveva (di valore 150.000,00€) oltre ad € 100.000,00 sui conti correnti, la massa ereditaria ammonta ad € 900.000,00 e la quota di legittima intangibile che spetta a ciascun fratello ammonta ad una quota pari ad € 300.000,00€.
Conseguentemente Sempronio risulta aver ricevuto molto più della sua quota di legittima e Mevia poco meno.
Pertanto Mevia è stata lesa nei suoi diritti di erede legittimario per 50.000,00€ e potrà agire in riduzione contro il fratello Sempronio per far valere i propri diritti (e quindi recuperare il valore di € 50.000,00).
Più complicato è il caso in cui, per ragioni di preferenza personale, un genitore voglia fortemente favorire un figlio rispetto all’altro in una misura superiore di quella consentita dalla legge attraverso operazioni occulte finalizzate a nascondere una donazione che rendono decisamente più difficile accertare la lesione della quota di legittima.
Per raggiungere tale scopo il genitore, in luogo di effettuare una donazione secondo le forme e le pubblicità previste dalla legge, potrebbe stipulare atti di compravendita “apparenti” (ad esempio: vendita di immobile a prezzo irrisorio o notevolmente inferiore al suo valore o con pagamento rateale in tempi lunghissimi) per trasferire al figlio “prediletto” la maggior parte del patrimonio (ad esempio immobili o partecipazioni societarie) in potenziale danno dell’altro figlio e/o del coniuge a seconda dei casi.
Per tutelare i propri diritti di legittimario l’erede legittimario leso da tale operazione dovrà in primo luogo dimostrare, attraverso l’esame congiunto di diversi elementi (non è sufficiente un solo elemento quale per esempio la previsione di un prezzo irrisorio o la mancata prova dei pagamenti ma è tendenzialmente necessaria la combinazione di più elementi), che si tratta di atti di compravendita “falsi” che mascherano una donazione.
A seconda dei casi, una volta dimostrata la vendita “falsa” dissimulante una donazione, il bene potrà rientrare nel patrimonio ereditario e sarà diviso tra eredi secondo le quote previste ex lege o testamento (collazione) oppure l’erede pretermesso potrà far valere i suoi diritti per vedersi riconoscere la quota ereditaria di cui è stato ingiustamente privato (azione di riduzione).
Di recente la Suprema Corte è tornata sul tema con una sentenza del 5 giugno 2020 n. 10657 avente ad oggetto il seguente caso:
una madre aveva venduto ad un figlio la proprietà di alcuni immobili e alla sua morte non residuava che un solo terreno di valore decisamente inferiore agli immobili venduti.
Il figlio che non aveva acquistato gli immobili dalla madre (l’”attore”) lamentava una lesione della sua quota di legittima: dal suo punto di vista le vendite degli immobili al fratello altro non erano che donazioni mascherate aventi l’unico scopo di sottrarre i beni alienati alle sue aspettative di erede.
Pertanto, chiamava in giudizio il fratello per far valere i suoi diritti ereditari di legittimario.
Il Tribunale, la Corte d’Appello e poi la Suprema Corte di Cassazione hanno rigettato le domande dell’attore per la mancata prova della dedotta simulazione.
Le ragioni del rigetto sono tuttavia motivate da questioni più tecniche che di merito: per sua scelta processuale infatti l’attore non aveva proposto, in aggiunta all’azione di simulazione, la domanda di riduzione per la reintegra della quota di legittima lesa (l’ha presentata tardivamente in appello con conseguente dichiarazione di inammissibilità), essendosi limitato a richiedere unicamente di ricomprendere nell’asse ereditario anche i beni immobiliari acquistati dal fratello.
Se da un lato la scelta dell’attore, in virtù dell’operare dell’istituto della collazione, avrebbe potuto garantire un miglior risultato in termini economici rispetto alla sola azione di riduzione (con la collazione infatti il bene donato rientra nella massa ereditaria nella sua interezza mentre l’azione di riduzione ha il più limitato effetto di determinare la quota di riserva), dall’altro, solo proponendo l’azione di riduzione sarebbe stato possibile dimostrare la simulazione attraverso testimoni e presunzioni che ne avrebbero potuto notevolmente agevolare la prova.
Avv. Marcello Mantelli
Avv. Massimiliano Gardellin
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