L’industria della ceramica rappresenta uno dei settori di spicco dell’export italiano, con un fatturato di 5,34 miliardi di euro nel 2019, di cui 4,5 miliardi solo in esportazioni verso Unione europea, America e Asia.
In particolare, gli Stati Uniti costituiscono un terreno fertile per l’export Made in Italy, trattandosi del primo importatore mondiale di piastrelle, con un volume pari a 209 milioni di metri quadrati. Tra gli Stati di destinazione della ceramica nostrana, troviamo California (16%), Florida (12%), Texas (11%), New Jersey (10%) e New York (9%).
Dato rilevante, oltre alle ottime opportunità di export, risulta essere l’internazionalizzazione produttiva delle aziende italiane negli Stati Uniti: ad oggi sono 16 le società sviluppate negli States che si occupano di produzione di ceramica, con un fatturato nel 2019 di 843 milioni di euro.
A titolo di esempio, si consideri il caso del Tennessee, rinominato “la Sassuolo statunitense”. Grazie alla disponibilità di materia prima (argilla, feldspati), all’abbondanza di acqua, alla facilità di insediamento e al piano di incentivazione degli investimenti diretti esteri promosso dallo Stato, i grandi player emiliani si sono insediati direttamente negli Stati Uniti, svincolandosi da tasso di cambio euro-dollaro e costi di trasporto.
Questi dati fanno dunque dell’Italia non solo un Paese esportatore, ma anche un grande produttore diretto negli States. Tuttavia, la sfida più grande rimane competere con grandi mercati in ascesa nel settore, come quelli cinese e indiano e, a livello europeo, spagnolo.
Per mantenere la leadership nel settore sfruttando anche le nuove tecnologie, sicuramente gli strumenti più efficaci risultano essere maggiori investimenti nell’industria 4.0, lo sviluppo di nuove applicazioni dei materiali e la stampa digitale.
Tuttavia, si ritiene che un reale risultato nel breve periodo si possa raggiungere incentivando la presenza diretta delle aziende sul mercato di destinazione e l’assistenza al cliente in loco. Un ottimo metodo per garantire una buona attività di export senza tuttavia tralasciare le necessità appena esposte, potrebbe dunque essere quello di sviluppare delle reti distributive integrate con marchio dell’azienda e partner locali, andando a creare una vera e propria rete italiana a marchio internazionale con punti vendita negli States per una presenza diretta e strutture di supporto al cliente in loco.
Luca Davini
Avvocato in Milano e Torino
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