Marcello Mantelli
Avvocato in Milano e Torino
Sebbene la tutela della proprietà intellettuale venga garantita a livello europeo dalla Direttiva 2004/48/CE, non è inusuale riscontrare una persistente difficoltà nel bilanciamento di questa, da un lato, e la tutela dei dati personali (disciplinata nel Regolamento 2016/679 c.d. GDPR) dall’altro.
Un esempio di tale difficoltà si ha nella sentenza relativa alla causa C-264/19 tra Constantin Film e YouTube, nella quale la Corte di Giustizia Ue (CGUE) è intervenuta cercando di fornire una chiave di interpretazione volta a creare un equilibrio tra proprietà intellettuale (nello specifico, copyright) e tutela dei dati personali.
Come già analizzato in precedenza su questo blog, il caso riguarda un episodio di violazione del copyright. Alcuni utenti, infatti, avevano caricato sulla piattaforma YouTube le versioni integrali di due film distribuiti dalla società tedesca Constantin Film, tuttavia senza alcuna autorizzazione e quindi in violazione della normativa in materia di diritto d’autore.
La Constantin Film, facendo valere il diritto di informazione ex art. 8 par. 2 lett. a) della Direttiva 2004/48/CE, richiedeva dunque a YouTube di fornire tutte le informazioni relative agli utenti colpevoli della violazione, compreso l’indirizzo, inteso non solo come indirizzo fisico di residenza, ma anche come indirizzo e-mail e IP.
Una simile richiesta risultava eccessiva secondo YouTube in quanto non soltanto venivano richieste informazioni troppo dettagliate – violando così le previsioni in materia di tutela dei dati personali degli utenti – ma inoltre venivano richiesti indirizzi non previsti dalla Direttiva 2004/48/CE la quale, secondo la società americana, intenderebbe “indirizzo” quale luogo fisico di residenza (i.e. indirizzo postale) e non già un indirizzo di posta elettronica o IP.
Interpellata in via pregiudiziale per chiarire proprio la definizione di “indirizzo”, la CGUE ha stabilito che questo non si riferisce, nel caso di specie, all’indirizzo di posta elettronica e/o all’indirizzo IP utilizzato per caricare file illeciti, bensì unicamente all’indirizzo postale di residenza/domicilio.
Ad ogni modo la Corte precisa che, benché non vi sia un obbligo in capo agli Stati di ordinare la fornitura di tali indirizzi e-mail/IP nel corso di un procedimento riguardante una violazione della proprietà intellettuale, gli Stati membri dispongono pur sempre della facoltà di farlo.
Infatti, il legislatore europeo ha previsto la possibilità, per gli Stati membri, di concedere ai titolari di diritti di proprietà intellettuale il diritto di ricevere un’informazione più ampia (ex art. 8 par. 3 lett. a) Dir. 2004/48/CE), a condizione che sia garantito un giusto equilibrio tra i diversi diritti coinvolti.
In tal senso, nel delicato contemperamento tra tutela della proprietà intellettuale e tutela dei dati personali, la Corte, nel caso di specie, non interviene in maniera risolutiva, rimandando semplicemente all’uniformità delle normative europee e alla discrezionalità che ogni Stato membro detiene.
Ad oggi, dunque, ogni Stato può continuare ad interpretare la questione in maniera diversa, lasciando il bilanciamento tra copyright e protezione dei dati inconcluso e rendendo ogni volta necessaria un’attenta analisi delle previsioni nazionali in materia.
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